venerdì 20 dicembre 2013

Lo Hobbit: La desolazione di Smaug


Lo Hobbit: La desolazione di Smaug
Enrico Ignone

Peter Jackson sa gestire la macchina da presa come un prestigiatore sa difendere il suo “trucco”. In Lo Hobbit: La desolazione di Smaug, secondo capitolo de Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato, la lentezza occupa il posto della dinamicità del primo capitolo. Bilbo Baggins (Martin Freeman) si perde in una foresta buia, metafora del destino, infestata da giganteschi ragni nauseabondi; per poi riemergere alla luce, divenendo il faro della compagnia dei Nani. Bilbo è figura intrepida, la quale, nonostante l’influsso malefico del tèsssoooro (l’anello), mantiene la tenerezza tipica degli hobbit. I protagonisti di questo capitolo sono i Nani, euforici e ansiosi di riaprire le porte del loro antico regno in cui è stipata l’indecifrabile mole di oro e argento. I Nani, l’Hobbit e gli Elfi in viaggio, da una parte. Gandalf che lotta solo con il Male, dall’altra. La compagnia una volta giunta alla montagna, anticamera del regno dei Nani, deve vedersela col custode Smaug, drago dalle nobili parole ma malefico nei fatti. Ed è l’entrata in scena di Smaug che stupisce quanto a perfezione visiva. Jackson innalza la figura del drago, lasciando alla fine lo spettatore insoddisfatto come in una puntata di un telefilm. Passepartout episodico per il terzo capitolo de Lo Hobbit.

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